Ci si potrebbe chiedere quali siano i pro e i contro quando si parla del barefoot running.
La corsa a piedi nudi o con l’utilizzo di scarpe minimaliste, dotate di pochissimo sostegno e supporto ammortizzante, ha iniziato a diffondersi alcuni anni fa, creando un ampio dibattito tra i cosiddetti puristi che vedevano nella corsa naturale l’unico stile perfetto di corsa.
Da quanto emerge dagli studi, dal punto di vista prettamente posturale, ci sono alcuni aspetti che tenderebbero a far prediligere il barefoot running. Questo perché, enfatizzando un appoggio di avampiede, si tende a ridurre le forze di carico con il terreno, riducendo l’ampiezza della falcata ed aumentando così la frequenza di corsa. Queste modificazioni posturali comportano angoli di movimento meno accentuati sull’articolazione del ginocchio ed una maggiore attivazione della flessione plantare. L’aumento del materiale ammortizzante nell’intersuola potrebbe mascherare alcuni feedback sensoriali che derivano dall’impatto del piede a terra e che permettono al nostro corpo di modificare l’appoggio per evitare eventuali infortuni. Alcune ricerche sostengono che (oltre all’aumento dei feedback sensoriali) il barefoot running riduca il picco di forza verticale che subisce il piede al contatto con il terreno nella prima parte dell’impatto a terra diminuendo cosi il trauma che subisce il tallone nella fase di atterraggio (zona di controllo passivo delle forze). Un appoggio di mesopiede permetterebbe inoltre di scaricare meglio le forze distribuendole su una superficie più ampia e permettendo alla muscolatura della gamba e intrinseca del piede di ammortizzare parte dello stress (zona di controllo attivo delle forze).Infine, un appoggio di avampiede tende a produrre un maggiore sbilanciamento in avanti del baricentro, rendendo la corsa meno dispendiosa dal punto di vista energetico. Secondo questo approccio, il rischio di infortuni sarebbe ridotto grazie alla riduzione degli impatti e alla migliore gestione posturale del gesto.
Nella nostra quotidianità siamo stati abituati ad utilizzare calzature molto protettive su superfici rigide ed uniformi. Questa serie di condizioni, in aggiunta al tasso di sedentarietà piuttosto elevato, hanno trasformato, che non sono più funzionali, sensibili o stabili.
Il barefoot running comporta un appoggio maggiormente orientato all’avampiede, producendo un maggiore carico sulla catena cinetica posteriore, a partire dalla fascia plantare proseguendo con il tendine d’Achille, la muscolatura del polpaccio, gli ischio-peroneo-tibiali e così via. Se questa condizione agisce su di una struttura non adeguatamente preparata, può comportare un grosso sovraccarico funzionale ed il rischio di incorrere in infortuni, quali la fascite plantare, la tendinite dell’achilleo.
Il barefoot running diventa un’ottima “strategia” di corsa, ma per soggetti predisposti o preparati a sufficienza. Per tutti gli altri può essere estremamente dannoso. Permette di riattivare il piede e la caviglia, migliorando la gestione degli impatti e la stabilità propriocettiva.
Bisogna approcciarsi al barefoot running in modo graduale, supportati da un tecnico professionista. Bisogna evitare assolutamente i cambiamenti drastici dalle scarpe ammortizzate a quelle minimal per evitare sovraccarichi funzionali e infortuni.
https://www.runningitalia.it/allenamento/barefoot-running-minimal-e-rischio-o-vantaggio