A livello biologico, l’allenamento può essere interpretato come quello stimolo che causa un’alterazione dell’equilibrio (omeostasi) fisiologico dell’organismo, che viene poi ripristinata durante il recupero che segue l’allenamento stesso.
La successione di diverse sessioni di allenamento fa in modo che l’efficienza dei sistemi fisiologici che monitorano la funzione del controllo dell’equilibrio sopracitato venga alterata in modo tale che, un successivo esercizio eseguito alla stessa intensità di quelli precedenti, causi un’alterazione dell’omeostasi o dell’equilibrio meno marcata e quindi incrementi la performance prodotta.
Quando parliamo di allenamento non possiamo che parlare del parametro dell’allenamento per eccellenza: IL CARICO.
Ma cosa si intende per “carico di allenamento” e perché è così importante? Una comune definizione può essere quella che definisce il carico di allenamento come qualsiasi carico costituito da uno o più stress fisiologici, psicologici o meccanici, che venga applicato al corpo umano.
Il carico di allenamento somministrato può essere essere differenziato in carico ESTERNO ed INTERNO.
Il carico esterno può essere definito come il lavoro completato durante un allenamento od una competizione, misurato indipendentemente dalle sue caratteristiche interne.
È possibile stabilire il carico esterno valutando differenti variabili tra le quali figurano:
– la velocità
– la durata
– la distanza percorsa
– il peso corporeo
– l’accelerazione
– il sovraccarico utilizzato
quindi parliamo di parametri OGGETTIVI e misurabili.
Qualsiasi carico esterno applicato al corpo risulterà in una serie di risposte fisiologiche e psicologiche, nonché in una variazione di parecchi altri fattori biologici e biochimici.
Questa risposta individuale è nota come carico interno e può essere monitorata valutando l’andamento di variabili come:
– frequenza cardiaca (FC)
– variabilità cardiaca (HRV)
– concentrazione ematica di lattato
– quoziente respiratorio (RER)
– scala RPE (percezione soggettiva dello sforzo) durante un allenamento od una competizione
– il sonno
e tanti altri ancora.
Quindi parliamo di parametri SOGGETTIVI e misurabili.
E a questo proposito, una composizione corporea non buona, può modificare la percezione SOGGETTIVA di un carico di allenamento. Ciò che una volta appariva “sostenibile” adesso non lo è più eppure è lo stesso allenamento di sempre e noi non abbiamo cambiato le nostre abitudini.
Qualsiasi carico esterno può quindi essere oggettivato da chi lo decide in base a diversi parametri che nel mondo della performance e dell’allenamento prendono il nome di componenti del carico di allenamento, distinte in componenti quantitative e qualitative.
Alcune tra le componenti quantitative :
– durata dello stimolo, che corrisponde al cosiddetto Time Under Tension (TUT), ovvero il tempo per il quale la contrazione (tensione) viene mantenuta.
– volume dello stimolo, che descrive invece la durata o il numero degli stimoli per unità di allenamento.
– frequenza dello stimolo, che stabilisce il numero delle unità di allenamento quotidiane e/o settimanali.
– complessità dello stimolo, che definisce la difficoltà in termini di concatenazione e/o coordinazione di più movimenti.
Alla componenti qualitative invece appartengono:
– intensità dello stimolo, ovvero l’impegno profuso dall’atleta in un lavoro rispetto alla sua capacità massimale;
– densità dello stimolo che rappresenta il rapporto temporale tra le fasi di carico e quelle di recupero.
Questa panoramica sul carico è fondamentale perché mette in luce la complessità delle relazioni tra il carico
(esterno/interno) stesso e l’organismo umano.
Già perché a compiere lo sforzo ed a percepirlo ed elaborarlo durante una prestazione è un organismo, il corpo umano, che ha caratteristiche individuali uniche, risposte uniche e percezioni uniche.
Non si può lasciare in disparte quanto lo stato di questo organismo (la sua composizione corporea ed il suo sistema nervoso autonomo nello specifico) possa determinare in modo prioritario e non negoziabile il carico di allenamento e la qualità dello stesso allenamento.
Attraverso il monitoraggio COSTANTE della composizione corporea tramite BIA-ACC possiamo definire in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi la composizione corporea e i suoi cambiamenti sotto molteplici punti di vista, favorendo la comprensione dei cali prestazionali ma soprattutto dando indicazioni chiare su quanto il nostro organismo si può permettere in termini di carico in senso lato.
Parliamo di:
– idratazione (acqua totale, acqua intra-extracellulare)
– massa cellulare
– massa grassa totale
– angolo di fase HPA (indice della funzionalità dell’asse dello stress ipotalamo ipofisi surrene)
– glicogeno muscolare
– densità corporea
– turnover osseo e muscolare
– IMAT grasso intramuscolare
– collagene
– matrice extracellulare
e molti altri ancora.
Per comprendere meglio ciò di cui parlo, porto qualche esempio.
Immaginiamo di essere un runner che deve affrontare un ciclo di allenamento intenso, con molti lavori lattacidi, le classiche ripetute sui 1000 a ritmi 5-10% più veloce della soglia anaerobica. Quindi molto dispendiosi dal punto di vista energetico e anche molto stressanti dal punto di vista muscolare.
Prendiamo per esempio il parametro dell’idratazione.
Se questo runner avesse valori di idratazione più bassi di quelli desiderabili, diciamo il 48% del peso corporeo e magari di quel 48% il 45% fosse di acqua extracellulare allora quel runner partirebbe per quel ciclo di allenamento in una situazione molto sfavorevole.
Scarsa idratazione e infiammazione sistemica causano per esempio:
– alterazione nella conduzione dei segnali nervosi, quindi scarsa efficienza nell’esecuzione di un gesto motorio.
– precoce depauperamento del glicogeno muscolare
– maggiore stress meccanico alle strutture tendinee ed articolari
Questo runner difficilmente potrà essere prestativo e potrà recuperare da queste sedute di allenamento nel lungo termine.
Facciamo un altro esempio prendendo in riferimento il solo angolo di fase HPA e supponiamo di trovarlo in situazione di iperattivazione con aumentata circolazione di cortisolo (in risposta all’iperattivazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene) anche in situazioni di apparente non stress.
Questa è la condizione principe per generare, se fissata nel tempo, catabolismo di tutte le strutture magre (muscoli in primis) e poi di quella ossea e così via.
Immaginate se questo runner affrontasse una stagione intera di allenamenti e gare partendo da questa condizione. Sarebbe molto pericoloso.
Le altissime richieste energetiche a cui sarebbe sottoposto sarebbero inconciliabili con la sua situazione fisiologica anche se dovesse nutrirsi adeguatamente. Anzi, oserei dire che se fosse in normocalorica avrebbe comunque la sensazione di non nutrirsi abbastanza probabilmente perdendo muscolo a favore del grasso.
Chiaramente i parametri della composizione corporea sono intimamente connessi fra loro e quindi facilmente
una persona “disidratata” ha anche un angolo di fase HPA sbilanciato, valori di grasso intramuscolare o di
matrice elevati, densità muscolare bassa, carenza di tessuto osseo e così via.
Monitorare quindi nel tempo l’andamento della composizione corporea consente di capire quali risposte il nostro corpo sta producendo e ci permette di intervenire in corso d’opera oppure di stabilire durante l’off season la strategia migliore per affrontare la preparazione e la stagione nuova.
Un ringraziamento per questo articolo al Dr. Bruno Dell’Ara
Se volete approfondire l’argomento, contattateci al 3472473475.