Erroneamente si pensa che la causa principale degli infortuni nella pratica della corsa a piedi, siano fattori esterni, la scarpa, la superficie di contatto, oppure fattori intrinseci quali la mancanza di elasticità dei tendini, debolezza muscolare, biomeccanica anomala o semplicemente, come spesso ci sentiamo dire “Correre è un’attività troppo usuranti per l’essere umano”.
Tutti questi elementi indubbiamente hanno il loro grande peso, ma il denominatore comune, la vera causa, è l’incapacità di mettere in relazione questi fattori con il carico/stress meccanico.
Saper quantificare la quantità dello stress meccanico, che varia da persona a persona è assai importante e determinante nella prevenzione dell’infortunio del runner.
Cos’è e come si quantifica lo stress meccanico?
Lo sforzo complessivo applicato al corpo non deve mai superare la capacità di adattamento ad esso, ovvero deve arrivare a soglia ma senza superarla, altrimenti comparirà dolore e sarà difficile andare oltre e ottenere l’adattamento tessutale.
Se questi presupposti sono veri allora, ci possiamo rendere conto di quante variabili intervengano nella strutturazione e organizzazione di un programma di allenamento e di quanto esso debba essere personalizzato.
Adattare/rinforzare richiede uno stress relativamente frequente ma non eccessivo, poiché se compare il dolore i tessuti diventano meno tolleranti, si indeboliscono e reagiscono male anche quando lo stress viene applicato nel periodo di recupero.
Chi si allena senza provocare dolore attraverso un progressivo aumento di volume ed intensità si allena nella zona di adattamento desiderata.
La percentuale di progressione non deve superare il 10% a settimana.
Per esempio, lo stress del tendine d’Achille su uno sprint di 100 mt è ben diverso dallo stress del tendine d’Achille su 100 mt di jogging. Questo spiega come si calcola la quantità di stress meccanico. I principi di quantificazione meccanica dello stress e di adattamento al medesimo sono fondamentali perché se tenuti nella giusta considerazione possono far fare all’atleta un’intera stagione senza infortuni.
Un’altra causa determinante negli infortuni del runner è sicuramente la tecnica di corsa. Sono già diversi anni che supportati da studi scientifici con tanto di EBM (Evidence Based Medicine) si va diffondendo la consapevolezza che l’applicazione nella corsa, di un gesto troppo simile alla camminata, caratterizzato da atterraggio sul tallone, frequenze troppo basse, nonché l’uso di scarpe troppo strutturate, influenzino pesantemente la possibilità di incorrere in infortuni.
Detto ciò ecco una breve carrellata degli infortuni più frequenti nel runner:
Frattura: Si può incorrere in fratture a causa di brutte cadute, inciampando in sconnessioni del terreno. A volte si possono però anche riscontrare fratture da stress eccessivo. In caso di sospetta frattura è bene immobilizzare con quello di cui si dispone l’arto, se possibile ghiaccio, per evitare il più possibile versamento, evitare assolutamente il carico anche sfiorato, recarsi in un pronto soccorso per le cure del caso.
Distorsione: la distorsione prevede per definizione la perdita parziale di rapporto articolare tra due capi ossei. In questo movimento i capi ossei portano con sé il tessuto cui sono connessi quindi, connettivo, legamentoso, tendineo, muscolare. Il movimento distorsivo è rapido, l’aspetto positivo è che solitamente si tratta di traumi “leggeri” per i quali non è necessario un intervento chirurgico di riparazione. Allo stesso tempo però la qualità del recupero fisioterapico è fondamentale per impedire l’insorgere di recidive che potrebbero mettere a rischio di stabilità questa articolazione. Tipica di questa categoria di traumi è la distorsione della caviglia, la così detta “storta”. La prima cosa da fare nel caso in cui si subisse una distorsione è trovare il modo più rapido per raggiungere il pronto soccorso. In ospedale un ortopedico mediante test clinici ed esami radiologici come l’Rx valuterà l’entità della distorsione e l’eventuale concomitanza o meno di una frattura ossea.
In molti casi consigliano di effettuare una risonanza non appena si riduce il gonfiore, in questo modo è possibile studiare lo stato dei tessuti molli, in particolare del compartimento legamentoso.
In attesa di arrivare al pronto soccorso, si consiglia di applicare il “Protocollo RICE” che è un acronimo inglese che sta ad indicare:
- RIPOSO: mantieni a riposo l’articolazione, non caricarci peso sopra, se ti fosse possibile deambula sin da subito con le stampelle, in modo da non compromettere ulteriormente la situazione. Spesso la stabilità articolare, dopo un evento di distorsione, è precaria e caricandoci peso si rischia di danneggiare ulteriormente i tessuti.
- ICE = ghiaccio: applica del ghiaccio nella zona dolente, ti aiuterà a controllare l’infiammazione e a far diminuire il dolore, che si presenterà nell’immediato, anche se l’articolazione è ferma e non viene toccata.
- COMPRESSIONE: fascia l’articolazione con un bendaggio compressivo, ti aiuterà a stabilizzare l’articolazione.
- ELEVAZIONE: la posizione elevata ha lo scopo di mantenere la caviglia in scarico, contribuendo al drenaggio dei liquidi.
IL recupero varia da persona a persona, e passa attraverso riduzione di edema e gonfiore, recupero manuale dell’articolarità, terapie fisiche e strumentali tipo tecar, laser, ultrasuoni, recupero della propriocezione. Le linee guida internazionali prescrivono comunque l’esercizio e il movimento controllato fin da subito, l’errore più grave e molto comune è l’immobilizzazione tramite tutore rigido, perché ritarda di tanto il recupero funzionale.
Metatarsalgia: Il dolore di una o più teste del metatarso. Si presenta come un punto fisso dolente infiammato sotto la pianta dell’avampiede, insorge spesso causata da un uso scorretto di calzature. Un piede molto cavo potrebbe essere un fattore favorente, un altro potrebbe essere la scarpa troppo tecnica che costringe ad appoggi innaturali o di solette rigide che bloccano la mobilità dell’arso plantare. La cosa importante da fare è non perdere tempo in quanto, mentre curare una metatarsalgia acuta è abbastanza semplice, diventa complicato quando si scivola nel cronico.
Gli obiettivi principali della terapia sono:
- 1 step: far diminuire il dolore e controllare l’infiammazione
- 2 step: recuperare la mobilità del piede
- 3 step: recupero completo della funzionalità dell’arto inferiore e training di esercizi per prevenire recidive.
Si procederà dunque con tecniche di massaggio della volta plantare e della fascia per ridare le giuste lunghezze ai tendini, importante non trascurare massaggio di tutta la catena posteriore, mobilizzazione del piede con particolare attenzione alle teste metatarsali. Il tipo di mobilizzazione che viene applicato è la trazione o il pompage osteopatico, con la quale si riesce ad ottenere una diminuzione della tensione miofasciale e articolare.
Un’analisi posturale ci potrà comunque dare dei buoni dati sulla biomeccanica del piede e su cosa eventualmente rieducare. In fase acuta potrebbe essere utile l’applicazione di un’ortesi di scarico, che deve essere assolutamente temporanea, in quanto la vera soluzione sta nel ripristinare una corretta biomeccanica. Non risolutivi se applicati da soli, ma senz’altro dei buoni coadiuvanti restano:
Laser ad alta potenza: è un mezzo fisico utilizzato sia nelle prime fasi che nelle condizioni più croniche, consiste nell’emissione di un fascio di luce ad alta potenza.
Tecarterapia: è un macchinario che utilizza radiofrequenze, è utilizzato sia in fase acuta (con la modalità pulsata) che in fase cronica (con la modalità continua).
Ultrasuoni: si tratta di un mezzo fisico che utilizza onde sonore a una specifica intensità.
Ipertermia: è un device, che come la tecarterapia, utilizza onde radio, ma per l’elevata cessione di energia che ricevono i tessuti trattati, è particolarmente indicata nelle condizioni croniche.
Correnti antalgiche come Tens e neuromodulatori come l’Interix.
Fascite plantare
l legamento arcuato del piede funziona come una corda che ammortizza il peso del corpo e i suoi movimenti: quando la tensione è eccessiva e prolungata il legamento può infiammarsi, dando luogo alla fascite plantare. Nella maggior parte dei casi il dolore associato alla fascite plantare si sviluppa gradualmente e colpisce solo un piede,
- terapia d’elezione per la fascite plantare è innanzitutto la terapia manuale per riallungare e distendere i tendini e i muscoli collaterali
- In questa fase l’obbiettivo è la riduzione del dolore e il controllo dell’infiammazione. Ghiaccio sempre più volte al giorno
- Massaggio trasverso profondo, in cui si esegue manualmente la mobilizzazione di determinate aeree fasciali con l’obbiettivo di ridurre ed eliminare eventuali restrizioni di movimento
- Tecniche miofasciali con gli IASTM tools: la parola “iastm” è l’acronimo di Instrument Assisted Soft Tissue Mobilisation, si tratta dunque di accessori (tools) di diversa forma, consistenza e materiale che utilizza il fisioterapista per trattare il tessuto miofasciale;
- I mezzi fisici più utilizzati sono:
- Le onde d’urto
- Gli ultrasuoni
- Il laser ad alta potenza
- L’ipertermia
- La tecarterapia
- Elettroterapie antalgiche
A questo si aggiunge come sempre un attento esame posturale e della corsa per valutare la distribuzione e alterazione dei carichi e sovraccarichi.
Come prevenzione per il ripresentarsi del problema, è fondamentale lavorare sulla mobilità delle dita del piede, dell’arco plantare e di tutta la catena posteriore del sistema piede gamba.
Tallonite
La tallonite, è un’altra “bestia nera” dell’atleta, trattasi di un’infiammazione che colpisce l’area del retropiede inferiore. Il suo insorgere nell’atleta può essere condizionato da molti aspetti, quali:
- alterazioni posturali primarie e secondarie
- calzature non idonee alla conformità della pianta del piede
- tendinopatia inserzionale, infiammazione causata dagli sport nei quali viene sollecitata la zona del tallone e del calcagno
La tallonite si manifesta con un dolore, a volte anche molto intenso, concentrato nella zona del tallone e del calcagno. Solitamente, la sintomatologia dolorosa è più forte al mattino, dopo essersi alzati, o in generale ogni volta che ci si mette in piedi dopo essere stati seduti o sdraiati per lungo tempo.
Come si può curare la tallonite?
Le terapie e le cure consigliate per la tallonite variano a seconda delle cause che determinano l’infiammazione.
Solitamente si rende necessario un riposo dell’area interessata per 15 giorni, arco temporale in cui generalmente la tallonite evolve verso la guarigione. Nei casi più gravi si interviene con trattamenti specifici, come la mesoterapia, le infiltrazioni e la fisioterapia.
In molti runners l’insorgere della tallonite è conseguenza di una errata tecnica di atterraggio, basata su un impatto al suolo di tallone, con un continuo shock da compressione che potrebbe essere annullato con un corretto atterraggio di mesopiede che ripartisce le forze su un maggior numero di articolazioni espressamente deputate a tale compito. La prevenzione è basata sulla riattivazione funzionale del piede e della caviglia e sulla rieducazione ad una corretta tecnica di corsa.
Tendiniti.
Le tendiniti sono infiammazioni dei tendini, dovute spesso a sollecitazioni ripetute ed eccessive. Con l’andare del tempo, se si ripetono in modo costante possono assumere carattere degenerativo e danneggiare le fibre tendinee. Non vanno quindi sottovalutate e risolte in modo sbrigativo con l’utilizzo di anti infiammatori, senza rimuovere e prevenire le cause scatenanti.
Infiammazione al tendine di Achille.
È una condizione dolorosa che colpisce soprattutto gli sportivi che praticano atletica leggera, in particolare i maratoneti, poiché sollecitano molto questo tendine nella fase di slancio del piede nella dinamica della corsa.
Proprio per l’alta incidenza negli sport da corsa, in molti chiamano questa tendinite “tendinite del podista.”Lla cosa migliore è spiegare correttamente il concetto di quantificazione dello stress meccanico. Una serie di interventi sarà quindi determinata in base alla nostra valutazione e ai livelli di stress meccanicoi raggiunti;Si procede quindi con : rinforzo eccentrico, stiramento manuale delle fibre del tendine, rimozione dell’eventuale attrito locale (tagliare la conchiglia del tallone dalla scarpa). Nella maggior parte dei casi, nessun tempo sarà sprecato, correzione biomeccanica, terapia manuale ed elettroterapia (ultrasuoni, TENS). I farmaci antinfiammatori e le iniezioni di cortisone devono essere evitati se non veramente in situazioni estreme. Va notato che questo approccio funziona con oltre il 95 percento dei corridori che vengono da noi per una consulenza. Cosa fare quando questo non funziona? Le onde d’urto possono essere una buona opzione . Ovviamente bendaggi di scarico e kinesiotaping accompagnano sempre la fase acuta in associazione con tutti gli altri trattamenti. Resta comunque difficile,dare dei tempi medi di guarigione,perché le variabili indipendenti superano di molto quelle che dipendono direttamente dal comportamento dell’atleta, o del fisioterapista, ad esempio a volte è importante valutare lo stato di nutrizione generale del soggetto per individuare carenze di fattori che concorrono alla viscosità dei tessuti, oppure un eccesso di acidificazione tessutale che sono alla base di ogni tipo di infiammazione, e tante tante altre variabili.
Infiammazione del tendine tibiale posteriore.
Dopo quella al tendine di Achille, questa è una delle tendiniti più frequenti del piede.
Uno dei motivi per cui sviluppa rientra nei casi in cui si presenti una riduzione di stabilità dell’arco plantare, poiché inserendosi nella parte interna del collo del piede, nel momento in cui la struttura tende al piattismo dell’arco plantare, il tendine potrebbe entrare in sofferenza.
Tendinite ai flessori del piede.
Questa condizione clinica mostra i suoi sintomi nella regione posteriore mediale della caviglia e del piede.
A seconda del tipo di tendine preso in esame, segue uno specifico percorso fisioterapico, in linea di massima però i cicli terapeutici seguono tutti degli step, più o meno lunghi, in cui si applicano delle tecniche, con maggiore o minore intensità, integrate con esercizi e mezzi fisici che a seconda del caso seguono dosaggi e modalità applicative differenti.
- Primo step
In questa fase l’obiettivo è la riduzione del dolore e il controllo dell’infiammazione. - Ghiaccio sempre più volte al giorno
- Massaggio trasverso profondo in cui si esegue manualmente la mobilizzazione di determinate aeree fasciali con l’obiettivo di ridurre ed eliminare eventuali restrizioni di movimento
- Tecniche miofasciali con gli IASTM tools: la parola “iastm” è l’acronimo di Instrument Assisted Soft Tissue Mobilisation, si tratta dunque di accessori (tools) di diversa forma, consistenza e materiale che utilizza il fisioterapista per trattare il tessuto miofasciale;
- Imezzi fisici più utilizzati sono:
- Le onde d’urto
- Gli ultrasuoni
- Il laserad alta potenza
- L’ipertermia
- La tecarterapia
- Elettroterapieantalgiche
- Secondo step
Essendo stata ridotta la condizione infiammatoria, è possibile iniziare a lavorare sul recupero della funzione motoria.
In questa fase si iniziano ad effettuare lavori dinamici, solitamente si integra la mobilizzazione attiva del piede, con i mezzi fisici.
Si inizia ad impostare un lavoro di esercizi attivi, che in alcune condizioni è già introdotto dalla prima fase. - Terzo step
Una volta eliminati (o ridotti al minimo) i sintomi, e recuperata la funzione motoria si lavora sull’ottimizzazione della funzionalità del complesso piede-caviglia, eseguendo un training di esercizi specifici per la propriocezione e l’equilibrio.
Periostite tibiale anteriore/posteriore
La periostite tibiale è un’infiammazione a carico del periostio Per chi non lo sapesse il periostio è una membrana, tipo una buccia di cipolla, di tessuto connettivale che avvolge tutte le ossa.
Solitamente colpisce atleti che svolgono sport richiedenti un uso eccessivo dei muscoli della gamba (runners, cestisti, calciatori, ballerini, etc.)
Il paziente solitamente lamenta dolore sul lato frontale se -tibiale anteriore-, o all’interno della gamba se tibiale posteriore-, causato da iperaffaticamento dei muscoli. Il dolore si sviluppa solitamente in modo graduale, senza traumi, e può iniziare a manifestarsi dopo la corsa o in fasi più avanzate addirittura dopo aver camminato.
Cause
La principale causa della periostite tibiale è traumatica, infatti un eccessiva sollecitazione della muscolatura tibiale o un suo utilizzo improprio può causare microscopiche lacerazioni e il conseguente processo flogistico del periostio. Le probabilità di infiammazione del periostio aumentano notevolmente se si verificano le seguenti condizioni:
Corsa su terreni sconnessi.
- Dismetria degli arti inferiori.
- Problemi posturali o deambulatori.
- Eccessivo carico di lavoro senza un adeguato allenamento.
- Corsa su superfici con fondi troppo dure.
Diagnosi
Il psaziente solitamente lamenta un forte dolore localizzato nel margine mediale della tibia.
Nelle fasi iniziali della patologia, il dolore alla tibia compare dopo aver percorso pochi chilometri, ma in seguito tende a permanere e non è possibile allenarsi. In alcuni casi il dolore può fare la sua comparsa anche quando l’atleta è a riposo.
All’esame obiettivo il soggetto avverte dolore alla pressopalpazione; il dolore inoltre può essere evocato anche dalla flessione plantare delle dita e del piede nelle fasi più gravi può essere visibile e palpabile anche un certo gonfiore.
Un Rx già consente di individuare situazioni anormali a carico del periostio.
Trattamento
Fase acuta
Nella fase acuta l’obiettivo principale è ridurre/eliminare l’infiammazione. Di conseguenza si consiglia:
- Riposo e sospensione degli allenamenti nel periodo in cui l’infiammazione è acuta.
- Crioterapia.
- Somministrazione di antinfiammatori per via orale.
- Terapie fisiche (solitamente ultrasuoni).
- Bendaggio (taping/Ktape)
- Manipolazioni.
Fase post-acuta
- Reinserire gradualmente corsa e salto
- Massaggio profondo e stretching
- Lavoro di forza (isometrico e poi isotonico), soleo, gastrocnemio, tibiale anteriore e posteriore, quadricipite, flessori/estensori e adduttori dell’anca.
- Potrebbero essere necessarie 6 settimane se la periostite tibiale non risponde al trattamento conservativo, cambiamenti nello stile di vita o un’analisi del cammino dovrebbero essere considerati
E’ davvero molto importante gestire la periostite al meglio, in quanto tende facilmente a cronicizzare e recidivare, per cui grande attenzione andrà posta sulla distribuzione dei carichi, sulle superfici dove si corre e sul chilometraggio
Sindrome femoro-rotulea
Il sovraccarico funzionale è uno dei principali fattori di rischio. Il primo indicatore di probabile sindrome femoro-rotulea è il dolore in sede rotulea, soprattutto in basso e ai lati più che sull’osso stesso. Per una diagnosi precisa è bene approfondire con RX, TAC o RMN (risonanza magnetica) per valutare lo stato dei tessuti. Il trattamento della sindrome femoro-rotulea è specifico per ogni paziente, e si pianifica in virtù di diversi fattori, come gli elementi che hanno causato la sintomatologia. Nel runner si studieranno variazioni di scarpa, di terreno, di dislivello e di sovraccarico meccanico. Ad ogni modo in ogni trattamento sono presenti tre componenti, che vengono integrati tra loro creando una sinergia terapeutica virtuosa:
- Tecniche di terapie manuale: servono per trattare eventuali disfunzioni di movimento che riguardano il ginocchio ma anche altri distretti come il piede, l’anca, o la schiena e che potrebbero influire sulla meccanica di questa articolazione. Le tecniche di terapia manuale si utilizzano anche per trattare i tessuti molli come muscoli e tendini. E’ il caso ad esempio del massaggio funzionale o del massaggio trasverso. Alcuni fisioterapisti integrano le tecniche di terapia manuale con l’applicazione di IASTM, degli accessori di metallo che contribuiscono ad allentare eventuali impedenze fasciali.
- Esercizi terapeutici: sono fondamentali sia per migliorare la sintomatologia, sia per accelerare i tempi di recupero e sia per impedire l’insorgere di eventuali recidive. Gli esercizi che verranno proposti al paziente avranno l’obiettivo di recuperare, mantenere oppure migliorare la propriocezione del ginocchio e la sua forza muscolare. Ma come accennavamo prima a volte il problema potrebbe non riguardare solo il ginocchio e in quel caso si pianifica un training riabilitativo per tutti i distretti del corpo che ne hanno bisogno.
- Mezzi fisici ad alta tecnologia: come laserterapia, tecarterapia, ultrasuoni, ipertermia e correnti antalgiche. Talvolta capita che in una singola seduta vengano integrati più mezzi fisici, al fine di dare uno stimolo specifico alla biologia del tessuto.
Sindrome della Bandelletta ileo tibiale
La sindrome della bandelletta ileotibiale è un disturbo che colpisce in particolar modo i podisti. Può essere considerata, sostanzialmente, una sindrome da sovraccarico. I fattori predisponenti sono generalmente di natura anatomica, tra questi ricordiamo il varismo del ginocchio, il varismo della tibia, la prominenza dell’epicondilo femorale laterale, la dismetria degli arti inferiori e il piede tendente all’ipersupinazione; tuttavia non mancano associati la corsa su fondo inclinato o irregolare, un chilometraggio eccessivo una variazione in eccesso dei carichi allenanti, la scelta di lunghi circuiti che presentano un’eccessiva alternanza di salite e discese o, ancora, gli allenamenti per la forza esplosiva particolarmente intensi.
La sindrome della bandelletta ileotibiale si presenta con un dolore generalmente continuo, ma non acuto, sulla faccia laterale del ginocchio; il dolore si accentua, raggiungendo il suo massimo livello, quando la bandelletta passa sopra il condilo femorale laterale, ossia, in altri termini, quando il ginocchio forma un arco di circa 30 gradi in flessione.
La dolenzia si sviluppa di solito dopo un determinato periodo di tempo dall’inizio dell’allenamento e tende a ridursi con il riposo.
La diagnosi
La diagnosi di sindrome della bandelletta ileotibiale si basa sull’esame obiettivo che mette in evidenza dolori alla pressione nella zona. Solitamente gli esami richiesti sono la radiografia del ginocchio e l’ecografia; molto raramente si ricorre alla risonanza magnetica nucleare, quasi mai decisiva per la diagnosi e che, tra l’altro, può dare false o eccessive informazioni.
Poiché l’infiammazione provoca un dolore continuo ma non acuto, sulla parte esterna del ginocchio, l’atleta è spesso portato a continuare gli allenamenti, magari riducendoli quantitativamente. Niente di più errato perché si predispone a un aggravamento della patologia.
La miglior terapia qui si rivela sempre la manipolazione fasciale in primis, e l’individuazione corretta dei sovraccarichi. Per ridurre il dolore nell’immediato è opportuno diminuire i carichi di lavoro.
Il periodo di stop consigliato è di 20 giorni con terapie, ultrasuoni, tecarterapia, laserterapia ecc.