Quando parliamo di sindrome compartimentale da sforzo cronico (chronic exertional compartment syndrome – CECS), intendiamo quell’aumento transitorio durante l’attività fisica delle pressioni compartimentali che causa dolore, per l’incapacità dei compartimenti fasciali di adattarsi, e di solito è alleviato dalla cessazione dell’esercizio.
In teoria, questa sindrome può interessare qualsiasi compartimento muscolare, ma solo il 5% dei casi riguarda avambraccio, coscia, mano e piede, mentre il restante 95% si verifica nella gamba. Per questo motivo, l a CECS è una delle numerose cause di dolore alla gamba correlato all’esercizio.
É un disturbo molto diffuso negli atleti, in particolar modo tra i runner, come dimostrano i dati raccolti (oltre il 15% lamenta questo disturbo).
I sintomi principali della sindrome compartimentale cronica sono dolori o crampi al muscolo interessato (glutei, cosce o parte inferiore della gamba) durante l’esecuzione dell’esercizio. I sintomi scompaiono con il riposo e la funzione muscolare rimane normale. La diagnosi di CECS può essere difficile, per la vasta gamma di patologie che possono causare dolore alla gamba e per la mancanza di criteri diagnostici chiari.
Un’anamnesi accurata, che comprende le caratteristiche del dolore, è fondamentale, anche se non affidabile per la diagnosi di CECS, per distinguere tra condizioni sovrapposte ed escludere altre patologie. Solitamente i pazienti lamentano anche tensione, debolezza, crampi e perdita sensoriale nell’estremità interessata.
Data l’assenza di sintomi a riposo, i test provocativi sono spesso necessari per valutare adeguatamente la patologia, oppure si richiede al paziente di tentare di riprodurre i sintomi che si presentano durante l’attività fisica.
Le opzioni di trattamento per la CECS includono chirurgia e una serie di alternative “conservative”, in entrambi i casi l’efficacia è controversa ed è oggetto di un significativo dibattito.
La gestione conservativa della CECS include metodi come riposo, massaggio profondo dei tessuti, calore, stretching ed esercizi di mobilizzazione. Data la difficoltà di standardizzare questi interventi, è difficile ottenere dati oggettivi sulla qualità delle opzioni di trattamento conservativo, che sono criticate e considerate fallimentari nel permettere ai pazienti attivi di tornare all’attività fisica senza dolore. Il successo delle opzioni di trattamento conservativo per molti pazienti dipende dalle restrizioni permanenti alle attività, spesso un’opzione poco attraente per un’alta percentuale di atleti affetti da questa condizione.
L’obiettivo primario della chirurgia è la decompressione di tutti i compartimenti fasciali suscettibili di aumenti di pressione anormalmente alte.
Alcune delle opzioni di trattamento conservativo più promettenti si concentrano sulla riduzione delle attività provocative, sulla riduzione del dolore locale e delle limitazioni nelle articolazioni circostanti, sul miglioramento dei fattori di rischio (cioè meccanica del passo, tipo di esercizio e intensità dell’allenamento), sull’aumento progressivo dell’esercizio in carico e sulla valutazione degli obiettivi del paziente.